sabato 20 ottobre 2012

Di armonia risuona e di follia

Augusto Romano scrive in una recensione su Tuttolibri del libro di Eugenio Borgna Di armonia risuona e di follia (Feltrinelli): “E’ questo atteggiamento che genera i tanti pregiudizi che si addensano intorno alla malattia mentale (è violenta, è incomprensibile, è incurabile…) ed hanno alimentato la pratica manicomiale (emarginazione, svalutazione, isolamento).  La psichiatria che colleziona soltanto i sintomi e si nega alla comprensione della vita interiore, dimentica – osserva Borgna – che la schizofrenia, come uno specchio, riflette la fragilità e la vulnerabilità della condizione umana, costantemente esposta al rischio di «perdersi nel deserto del dolore e della solitudine». Occorre riconoscere quanto i confini tra la follia clinica e la follia metaforica che è in ciascuno di noi siano labili e permeabili, e leggere nella follia l’essenziale solitudine e l’angoscia che abitano l’umano”.

Ciò che è accaduto nei manicomi, poco per volta, negli anni, è venuto alla luce. Eppure quando ho scritto il capitolo sul manicomio e ho letto, cercato, mi sono documentata, sono stata spesso sopraffatta dall’orrore per il numero inquietante di vite umane che vi hanno trascorso anni, decenni, a causa di malesseri che sarebbero stati curabili se solo si fosse dato uno sguardo, una qualche importanza alla vita interiore. L’esperienza non ha insegnato abbastanza però, poiché ancora oggi è tutt’altro  che inconsueto, per troppi psichiatri, evitare quello sguardo.

lunedì 1 ottobre 2012

Eccolo!


Vita in clausura

Uno dei capitoli del libro è dedicato alla vita in clausura, e il mio desiderio era quello di intervistare una donna che avesse vissuto l’esperienza  e poi ne fosse uscita. Mi interessava “quel” punto di vista. Ma a libro praticamente terminato nessuna tre le persone che conosco e che molto hanno collaborato a trovare le testimonianze degli altri capitoli, poteva essermi d’aiuto. Stavo, a malincuore, rinunciando, quando ho incontrato un’amica che non vedevo da tempo. “A che punto è il libro”? mi domanda, e io “Quasi terminato, mancherebbe ancora una testimonianza, ma non sono riuscita a trovarla”. Cinque minuti dopo avevo la mail di Irma, che ha vissuto 16 anni in monastero, e il giorno dopo la sua disponibilità a raccontare la sua storia. Irma è l’unica persona che non ho incontrato direttamente, e non perché non lo desiderassimo entrambe, ma la distanza geografica e i tempi di consegna del libro, ci hanno fatto decidere di lavorare via telefono o via mail. Irma sa usare bene le parole, e dunque scrivere la sua storia è stato molto semplice. Una storia intensa, nella quale narra le motivazioni che l’avevano spinta a chiudersi in monastero e poi a uscirne. C’è una frase, fra le tante sue che mi piacciono, che desidero riportare qui perché è una delle cose che voglio coltivare con tenacia: “Mi è rimasto addosso l’uso parco delle parole, una propensione a non perdere tempo con ciò che non è necessario”.