venerdì 9 novembre 2012

Introduzione del libro (prima parte)

In questo periodo ho purtroppo poco tempo per scrivere sul blog. In attesa che quel tempo ritorni, pubblicherò una serie di post nei quali potrete leggere tutta l'introduzione di Reclusioni di corpi e di menti.


Anni fa, una donna mi pose la seguente domanda: “Quale parrocchia frequenta?”. Pensai che risposta darle, poiché intuivo che dietro la sua domanda c’era la curiosità di sapere se fossi credente e non quale fosse il mio luogo di culto prescelto. Non intendevo tuttavia darle spiegazioni sulle mie eventuali pratiche religiose. Risposi dunque: “Non frequento una sola parrocchia, ne frequento tante, in orari diversi”. Apparve delusa. Non mi aveva mai vista nella sua, di chiesa, ma chi poteva dire, a quel punto, se ero un'assidua partecipante a riti di altre parrocchie?
Il seme di questo libro è nato quel giorno, ma affonda le sue radici in un terreno personale che coltiva - da sempre - un'idiosincrasia profonda verso la consuetudine di collocare le persone all'interno di una gabbia stretta sulla quale incollare l'etichetta di un'appartenenza religiosa, culturale, politica, economica, professionale. Etichetta che non può fare altro che limitare e tradire la molteplicità e la ricchezza di ogni essere umano. Nelle gabbie, in qualunque gabbia, si sta stretti, si irrigidiscono le articolazioni e i pensieri, non esiste lo spazio per cose nuove, e il senso di soffocamento che ne deriva provoca inevitabile malessere. E' sufficiente riflettere un attimo sulla reclusione, per osservare un'infinità di situazioni, reali e interiori, che possono includere tale caratteristica.
Esistono aree specifiche di reclusione come i conventi, o i manicomi, prima della legge Basaglia che ne decretò la chiusura. Naturalmente se è impensabile che una donna scegliesse di andare in manicomio era ed è più probabile invece la scelta di entrare in convento. Anche se è corposo il numero di donne che vi ha trascorso la vita desiderando essere altrove. Esistono inoltre alcune aree nelle quali la reclusione non ha a che fare con un luogo fisico bensì si colloca nelle emozioni o nei pensieri: per esempio il corpo, il trascorrere degli anni, la maternità. In ciascuna di queste aree, aspirazioni di perenne giovinezza o negazioni delle difficoltà, si definiscono criteri standard, ai quali ognuno di noi dovrebbe adeguarsi. E' evidente quanto tutto ciò possa rendere complicato il vivere quotidiano di chi non riesce a recidere sbarre che limitano la libertà. Quotidiano che diventa un inferno se ci inoltriamo nelle aree della tossicodipendenza, della violenza, e facciamo i conti con la difficoltà di uscirne. Non a caso, troviamo spesso il verbo uscire in frasi quali: uscire dalla spirale della droga, uscire dal buio della violenza. Uscire dunque, andarsene, scappare, fuggire da un luogo chiuso che crea dolore.


(continua)

4 commenti:

  1. Le gabbie. A volte ce le costruiamo, con grande impegno. Sarebbe meglio "vedere" con anticipo. Ma non sempre è possibile...

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    1. No, non lo è. Credo sia già molto, quando ne siamo consapevoli, fare di tutto per fuggire dalle gabbie.

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  2. Mi commuovi sempre.
    Avrei tanto da dire
    Ma questo credo sia l'effetto che fai.

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