martedì 13 novembre 2012

Introduzione del libro (terza parte)

Ma la malattia in generale è un luogo chiuso: tutti, entrando in un ospedale, provano la sensazione di entrare in un mondo altro, circoscritto, di mutate priorità.
E quando noi o un nostro familiare attraversiamo una malattia, impariamo i limiti che porta con sé, tocchiamo con mano e impariamo centimetro per centimetro il territorio che abitiamo: uno spazio ristretto. Facciamo quindi i conti con movimenti ridotti o con aspettative di vita ridimensionate. Senza contare che non sono pochi coloro i quali, in nome di un approccio più consapevole alla malattia, si sono sentiti dire frasi il cui sottofondo più o meno recita: “Ti sei ammalato perché te lo sei voluto”. Dunque a un certo punto ci si può trovare a convivere non solo con una patologia ma con la colpa di averla provocata. Poiché, a proposito di parrocchie, nel campo della cura ne esistono molte il cui integralismo non ha nulla da invidiare alla più rigida delle religioni.
Così, il corpo ammalato talvolta significa corpo colpevole, da nascondere, da negare, come la morte, come la vecchiaia. Si preferisce coltivare l'inganno di un eterno presente, sano, potente, invincibile, negando la biologia, il tempo, illudendosi che se sposo in toto questa filosofia, questa cura, questo credo, non mi ammalo o se mi ammalo guarisco, comunque non muoio. Nego così il corpo reale, la vita vera, fatta di intoppi, di inciampi e patologie. Vale forse la pena di immaginare quanto terribile potrebbe essere la vita senza un finire, un punto di rottura, un limite. Ci sono cose che non si possono scegliere, accadono e basta, fanno parte dei giorni, delle cellule, del respiro, della carne. Dobbiamo imparare ad accettarle. Ci sono cose che si possono scegliere e su queste è nostro dovere  riflettere. Distinguendo tra l’abitare un luogo perché lo si desidera o perché così ci è stato detto di fare.
Andare altrove, che si tratti di un luogo fisico o di un luogo emotivo, non è cosa semplice: bisogna percorrere nuove strade e incontrare luoghi sconosciuti che in quanto tali possono risultare inquietanti. Ci vuole uno slancio, un’apertura, ed è necessaria una buona dose di fiducia quando tocca dare un taglio, allontanandosi da quel che è stato. Uno svincolo ostico. Uscire dalle prigioni interiori è arduo e richiede di solito un lungo cammino, ma è una strada obbligata se desideriamo che libertà non sia soltanto una bella parola. Quando usciamo dai confini abituali per confonderci con nuovi paesaggi, per un po' siamo sbilanciati, ci sentiamo persi. Eppure, nulla come spalancare nuove porte ci mette a contatto con orizzonti prima impensabili, trasformandoci.
(continua)

4 commenti:

  1. Uno svincolo ostico.
    Questa me la tengo e me la scrivo.
    Poetessa la Mari.

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    1. Ciao Gioia, a proposito di svincoli...scrivi, scrivi!

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  2. E' densa di stimoli questa parte, e seppur condivida ogni pensiero che hai scritto già da tempo, ritrovarli qui, nero su bianco, fa bene, costringe a ripensarli e a viverli. grazie!

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    1. Grazie a te! (anch'io condivido i tuoi pensieri, e mi piacciono molto)

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