E sempre libertà
è la parola chiave che attraversa il libro La nota segreta di Marta
Morazzoni: un romanzo storico, d’avventura, d’amore e di conoscenza di sé, che
l’autrice ha scritto basandosi su fatti realmente accaduti sui quali ha poi
costruito la finzione romanzesca.
Paola Pietra
era una giovane contessa che venne rinchiusa a tredici anni nel monastero
benedettino di Santa Radegonda, a Milano, nella prima metà del Settecento.
L’unico antidoto alla solitudine di Paola fu l’incontro con Suor Rosalba
Guenzani, nota in tutta la città (alle messe cantate del monastero potevano
partecipare anche i cittadini), per le sue doti di soprano e per la bravura nel
dirigere il coro. La loro fu una relazione di amicizia e complicità, e insieme
coltivarono la voce di contralto che la Pietra possedeva già potente e
preziosa. E fu proprio quella voce, quella “nota segreta”, a condurre Paola
fuori da quelle mura opprimenti.
Un
diplomatico inglese, Sir John Durant Breval, la udì, ne fu rapito e la
narrazione del romanzo segue le peripezie del loro incontro, della fuga di suor
Paola dal convento e delle varie prove che dovette superare per rivendicare il
diritto a vivere una vita al di là delle imposizioni. Una delle sfide che
affrontò con tenacia e determinazione fu quella di lottare per ottenere lo
scioglimento del vincolo religioso. Era stata rinchiusa contro la sua volontà,
la fuga non le rendeva giustizia: pretendeva che le venisse riconosciuto il
diritto a essere libera. Nel romanzo, nel viaggio della sua vita, attraverso la
musica, Suor Paola si esplorò, si incontrò. Infine, attraverso quella nota
segreta, si aprirono le porte del monastero.
Non così è
accaduto a Suor Arcangela Tarabotti (1604-1652). Anche lei rinchiusa contro la
propria volontà nel monastero di Sant'Anna di Venezia, dove rimase tutta la
vita. La sua vera vocazione era la scrittura e nel libro La semplicità
ingannata denunciò la violenza sociale sottesa alla pratica di rinchiudere
le giovani donne nei monasteri e analizzò le motivazioni politiche ed
economiche che spiegavano quella odiosa abitudine. Scrisse inoltre le Lettere
familiari e di complimento che probabilmente le diedero la possibilità di
superare gli esigui confini del suo mondo permettendole di mantenere una
corrispondenza con personaggi intellettuali e religiosi dell’epoca.
Possiamo
forse immaginare che la scrittura di La semplicità ingannata consentì
alla Tarabotti di esprimere la rabbia della reclusione, e che quando scrisse le
Lettere familiari e di complimento avesse in qualche modo elaborato (si
era rassegnata?) il fatto di vivere in un monastero: attraverso il carteggio
aveva provato il piacere di scrivere e la sensazione della realizzazione di sé.
Per alcune donne il convento è stato ed è anche questo: una stanza tutta per
sé dentro la quale coltivare la cultura. Altre, rinchiuse, si rassegnarono
e vi trascorsero la vita che a un certo punto trovarono forse accettabile,
alcune si ribellarono e nacquero storie come quelle di suor Paola Pietra, altre
ancora fecero buon viso a cattivo gioco e ne approfittarono per coltivare la
spiritualità.
La figura di
Suor Rosalba, del romanzo La nota segreta fa emergere in modo chiaro
come per alcune donne il convento sia stato un modo per abitare la propria
nicchia nel mondo. Una nicchia dal perimetro limitato, che non escludeva però
viaggi interiori di notevole portata, con la gratificazione che deriva dalla
musica, dalle parole, dal ricamo, dalla meditazione. Alcune invece impazzirono
o si suicidarono.
Transitando
da un passato più remoto a uno più recente, incontriamo uno dei capitoli più
drammatici che riguardano la reclusione femminile: le lavandaie-schiave
d’Irlanda. Dal 1922 al 1996, quattro ordini religiosi hanno tenuto in
“custodia” trentamila donne: prostitute, ragazze madri o semplicemente ribelli.
Venivano chiamate Maddalene, “perdute” secondo la morale cattolica.
Rifiutate dalle famiglie trascorrevano le giornate a lavare le lenzuola e le
tovaglie dell’esercito o degli ospedali e subivano dalle suore violenze
inaudite che il film The Magdalene Sister di Peter Mullan (2002) ha
denunciato.
Il Comitato
contro le torture dell’Onu ha chiesto recentemente di aprire un’inchiesta, ma
il governo irlandese finora non ha dato risposte. La Chiesa, dal canto suo,
declina ogni responsabilità rimandando agli ordini religiosi locali, i quali
continuano a tacere. Silenzio, lo stesso silenzio che troppo a lungo la Chiesa
ha mantenuto in merito alla pedofilia. Il non detto, i segreti, le trame
nascoste, il potere usato per nascondere. Ma nascondere trentamila donne è
difficile, nonostante il fatto che quelle decedute siano state sepolte senza
nome - mai nate, nonostante la perentorietà con la quale si è impedito a quelle
che erano madri di incontrare i propri figli. Quando le lavanderie sono state
chiuse, le donne che erano troppo anziane hanno continuato a vivere in
convento: non avevano altro luogo in cui andare. Infine, quelle che hanno avuto
la forza di non soccombere per le violenze fisiche, sessuali, psicologiche
subite, attendono ancora un risarcimento e pubbliche scuse. Perché i monasteri,
i conventi, sono anche luoghi in cui il silenzio, l’isolamento, la privazione
della libertà, la rinuncia, diventano violenza, rabbia, invidie, ripicche e
cattiverie che raggiungono livelli talvolta inimmaginabili.
Nel luglio
del 2000 una suora di 65 anni si è suicidata buttandosi dalla finestra della
sua stanza, nel monastero di Santa Chiara, a Roma. Aveva lasciato un biglietto
nel quale chiedeva perdono per il suo gesto. La madre superiora, che spesso
impediva alla suora di uscire dal convento, aveva così commentato l’accaduto:
”Siamo nel dolore, non è il momento di parlare”. Se non si trattasse di una
tragedia, ci sarebbe da ridere. Sarà mai il momento di parlare?
Si è conclusa
decisamente meglio invece l’avventura di Suor Maria Jesús Galán, suora di
clausura da trentacinque anni. Tre anni fa ha digitalizzato tutto l’archivio
della biblioteca del Convento Santo Domingo El Real, fondato nel 1364 a Toledo,
e ha ricevuto la Targa al Merito Regionale di Castiglia-La Mancha per “la
classificazione di documenti e libri della biblioteca conventuale e
l’introduzione delle tecnologie in un ambiente tradizionale”.
Suor Maria
Jesús Galán navigava in rete e aveva un profilo su facebook attraverso il quale
ha mantenuto un contatto con l’esterno. Proprio la possibilità così inconsueta
di confrontarsi con più persone, ha scatenato invidie tali tra le consorelle
che un bel giorno, la suora, ha comunicato sul suo profilo on-line che
l’avevano cacciata dal monastero. “Suor internet” - così viene chiamata per la
sua passione per le tecnologie - ha commentato la faccenda spiegando che si è
iscritta alle liste di collocamento e spera di trovare lavoro nel campo che
l’appassiona molto e di cui è esperta, desidera inoltre da tanto tempo visitare
Londra e New York, potrebbe essere questa l’occasione giusta.
Ci sono dei
ponti per tornare nel mondo: per chi lo desidera, per chi ne ha il coraggio,
per chi è tenace. Per esempio, La nota segreta, per Suor Maria Jesús
Galán è stata internet.
(continua)
(continua)
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