mercoledì 1 gennaio 2014

Le monache

Generazioni e generazioni di donne, dal Medioevo in avanti, hanno scelto di vivere in convento perché sentivano che quella era la loro vocazione o perché sapevano che fosse l’unico luogo possibile per sottrarsi a un destino di moglie e di madre o per accedere alla cultura altrimenti negata. A molte altre donne, invece, prendere i voti è stato imposto dalle famiglie, prevalentemente per questioni ereditarie, quando non si è trattato di una vera e propria punizione, per un amore “sbagliato”, o per piegare una ribellione. Queste giovani, spesso poco più che bambine, sono state cancellate dall’asse ereditario, dalla vita, dalla memoria stessa. Nascoste, dimenticate, mai nate.
Enrichetta Caracciolo Forino nacque a Napoli nel 1821. Alla morte del padre, appena adolescente, fu mandata dalla madre in monastero, contro la sua volontà, continuando in questo modo la radicata tradizione del convento come destino per le figlie femmine. Destino da cui era esclusa la primogenita. Purtroppo Enrichetta era la quinta di sette figlie. Partì dunque per il monastero napoletano di san Gregorio Armeno nel quale a vent’anni pronunciò i voti e abitò insieme ad altre donne di analogo destino giunte in quel luogo senza un barlume di vocazione. Enrichetta Caracciolo fissò nella sua memoria ogni sensazione, ogni particolare, ogni incongruenza di ciò che accadeva nel monastero. La sua intelligenza, unita a uno sguardo lucido e critico, furono caratteristiche che insieme al suo malessere, alla sua inquietudine, al non senso di trovarsi in quel luogo le permisero di trovare spazio e parola nel libro che pubblicò nel 1864: Misteri del chiostro napoletano. Ma gli anni precedenti la pubblicazione del volume che ebbe vasta risonanza e fu tradotto in diverse lingue, Enrichetta li trascorse nei disperati tentativi di uscire dal convento. Con l’elezione di Pio IX, pontefice dall’animo più liberale, sperò che l’istanza presentata per ottenere lo scioglimento dei voti potesse avere un esito favorevole. Motivò la richiesta adducendo i reali problemi di salute che la reclusione forzata le provocavano, ma il parere negativo, a lungo reiterato, dell’arcivescovo di Napoli, Riario Sforza, fece sì che la sua permanenza in quel luogo continuasse.
Furono i moti rivoluzionari del 1848 che portarono qualche cambiamento: ottenne infatti che un inviato del papa le portasse l’autorizzazione a trasferirsi in conservatorio. Fu un primo passo, poiché la richiesta iniziale era stata quella di poter abitare la casa di sua madre Teresa con la quale si era riconciliata. Proprio l'intransigenza della madre, determinata a risposarsi dopo la vedovanza, aveva condotto Enrichetta in monastero durante l'adolescenza. Tuttavia, non fu semplice trovare il conservatorio che l’accogliesse poiché - libera e imprevedibile - era ritenuta una donna pericolosa.
Dopo svariati tentativi ottenne infine una stanza al Conservatorio delle suore di Costantinopoli, dal quale poteva uscire di giorno, anche se solo accompagnata dalla madre. L’anno successivo, persa ormai la speranza di ottenere una dispensa definitiva dai voti, fuggì. Poco tempo dopo visse ospite dalla sorella ed è in questo periodo che svolse un ruolo di “staffetta” di una società patriottica consegnando messaggi ai vari affiliati. Periodo di libertà che durò poco: venne arrestata senza spiegazione alcuna, anche se lei sapeva che l’antica acredine dell’arcivescovo Riario o l’accusa di spionaggio erano i probabili motivi. Rimase segregata nel ritiro di Mondragone per più di tre anni. Fu un periodo terribile, nel quale tentò il suicidio, rifiutò il cibo e passò il tempo a leggere i pochi libri che le avevano lasciato dopo averne valutato il grado di aderenza ai dogmi del luogo. Eppure resistette, e il 4 novembre 1854 finalmente uscì.
“Morì nel 1901” scrive Bruna Bertolo nell’accurata biografia di Enrichetta Caracciolo in Donne del Risorgimento. Le eroine invisibili dell’Unità d’Italia. Dunque, ancora lunghi anni durante i quali traslocò in diverse abitazioni, fino a quando incontrò un patriota di origine tedesca, Giovanni Greuther, con il quale visse un lungo periodo di serenità.
Nel 1866, in occasione della terza guerra d’indipendenza, pubblicò il Proclama alla Donna Italiana, in cui esortava le donne a sostenere la causa nazionale, e fece parte di associazioni come il Comitato femminile napoletano, di sostegno al disegno di legge di Salvatore Morelli per i diritti femminili.
Sono donne come Enrichetta Caracciolo, le poche visibili e le numerose invisibili, che nell’800 avevano sparso semi che hanno attecchito dando i loro frutti a distanza di decenni. Donne che hanno attraversato una vita scomoda, pagato prezzi gravosi per poter esprimere i loro pensieri, morte spesso in solitudine, dimenticate. Non stupisce affatto che nemmeno al termine della sua vita abbia ricevuto qualche riconoscimento ufficiale per il suo notevole impegno in campo culturale.

Garibaldi aveva espresso l’intenzione di nominarla ispettrice degli educandati di Napoli, ma “non fece in tempo” a firmare il decreto, ci ricorda Bruna Bertolo; De Sanctis le promise un incarico e poi se ne dimenticò. Solo l’arcivescovo Riario Sforza non la scordò mai e gli oggetti e i beni che le aveva sequestrato come punizione per aver voluto lasciare il monastero, fu ben attento a non restituirglieli. Non fu semplice dunque la vita di Enrichetta Caracciolo, anche negli anni in cui non fu più reclusa, tuttavia si srotolò all’insegna di qualcosa che aveva perseguito con ostinazione: la libertà.
(continua)

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